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Il danno estetico: aspetti da valutare per il risarcimento

Il danno estetico rientra nella categoria del danno biologico quale “sottospecie” del danno non patrimoniale, inteso come danno all’integrità psico-fisica della persona e rappresenta la tipologia di lesione più complicata da valutare atteso la sua elevata variabilità soggettiva delle alterazioni fisionomiche; invero, sarà necessario valutare non solo i danni all’integrità morfologica della persona, ma anche le alterazioni della sua capacità espressiva e della sua rappresentazione esterna delle proprie caratteristiche e personalità.

Il medico legale, pertanto, non potrà affidarsi a parametri valutativi prefissati ma dovrà valutare ogni singolo aspetto della situazione in cui versa il danneggiato, l’età, il sesso e la condizione fisica precedente all’evento lesivo. Nella perizia medico legale andranno valutate le alterazioni anatomiche oggettive e la sede delle stesse, non confinata solamente al viso, tenendo anche conto della evoluzione e sviluppo che possono avere tali lesioni nel tempo, soprattutto in soggetti minorenni, quindi ancora in età di sviluppo. Nella visita si dovrà determinare la presenza di ulteriori difetti funzionali (visivi, respiratori ecc.) patiti dal soggetto a causa del danno biologico di rilevanza estetica.

Inoltre, nel caso di danno estetico cagionato a soggetti che lavorano con la propria immagine (fotomodelli, attori ecc.) il danno fisionomico diventa un danno patrimoniale vero e proprio per lucro cessante, calcolabile con lo stesso meccanismo della riduzione della capacità lavorativa specifica.

 

Fatta tale premessa, andiamo ora ad esaminare un fatto accaduto realmente, oggetto di un’importante pronuncia della Corte di Cassazione, che può chiarirci come nella realtà venga liquidato il danno estetico e come debba essere provato. La vicenda da cui trae origine la sentenza in commento è la seguente: successivamente a un intervento – malriuscito – di liposuzione delle cosce, rinoplastica e ingrandimento del seno, una ragazza riportava la presenza di cicatrici deturpanti. La donna conveniva il medico e la clinica per vedersi riconoscere il risarcimento dei danni, per poi ricorrere avverso la Cassazione contro la decisione della Corte D’Appello per contestare la mancata valutazione equitativa del danno da perdita di chance: il danno deriverebbe dalla preclusione per la stessa della carriera di indossatrice e dimostratrice di capi d’abbigliamento, sulla quale avrebbero inciso sia i residui cicatriziali, sia la grave malattia psichica di tipo depressivo. In secondo luogo contestava la mancata considerazione, ai fini della valutazione del danno non patrimoniale, del danno alla vita di relazione, la cui incidenza sul danno biologico è stata valutata dalla C.T.U. nella misura del 50%.

Per quanto attiene alla risarcibilità del danno patrimoniale, la Cassazione conferma la valutazione dal giudice di merito, in riferimento all’onere dell’attrice di fornire elementi obiettivi di valutazione dell’entità dei suoi guadagni all’epoca dei fatti di causa e dei suoi contatti e della sua introduzione nel mondo della moda sulle possibile perdite al fine di consentire un giudizio prognostico sulle possibili perdite derivate dall’intervento chirurgico. Non veniva infatti provato dalla danneggiata che lavorasse realmente come modella, non essendo conosciuti i compensi percepiti, le sue quotazioni come modella, il che precludeva la quantificazione del guadagno.

Con riferimento alla valutazione del danno non patrimoniale, anche su questo punto la Cassazione conferma la decisione della Corte D’Appello, considerando che le traversie sopportate per effetto degli interventi  chirurgici,  oltre  che  provocare  tracce  somatiche  antiestetiche, hanno determinato una sofferenza psicosomatica e  considerando   che  la  depressione è andata diminuendo fino a stabilizzarsi in un equilibrio, comunque, di sofferenza permanente e determinando tale danno biologico complessivo nella misura del 15%, in considerazione delle ripercussioni sul piano estetico e psichico che riguardano  i  profili  fisici,  psichici  e  relazionali.
“Tali  operazioni  – prosegue la Corte – si  innestano  su una   consulenza   di   ufficio   che   conclude   ritenendo   che   il  danno biologico complessivo è quantificabile con difficoltà e va stabilito in via equitativa,  quale risultante di una pluralità di condizioni, come lo stato di ansia, di insicurezza, la compromissione della sfera affetti1va in generale ed il rapporto con l’altro sesso”.

La Consulenza Tecnica d’Ufficio costituisce dunque uno strumento fondamentale per la valutazione del danno biologico anche nella sua componente dinamico-relazionale, al fine di suggerire al giudice gli opportuni adeguamenti personalizzanti dei riflessi esistenziali del danno biologico o di procedere a una quantificazione autonoma di un danno non patrimoniale non derivante dalla lesione dell’integrità psico-fisica. Ciò non toglie, come ribadito dalla Corte di Cassazione nel caso di specie, che la valutazione equitativa del danno biologico rimane un profilo giuridico, non vincolata dal riferimento della C.T.U.

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