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Infezione da Covid-19: può essere qualificata come infortunio professionale nei contratti privati di una polizza infortuni?

Torniamo su un argomento che abbiamo già trattato in un precedente articolo, ossia le infezioni da Covid-19 come infortunio sul lavoro. Il D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, al comma 2 dell’art 42 ed una circolare INAIL che reca la stessa data hanno qualificato l’infezione da Covid-19 come “infortunio professionale” e questo evidentemente rende necessario comprendere se una tale definizione possa essere estesa anche ai contratti privati di polizza infortuni.

Ci pare opportuno scrivere nuovamente su questo tema perché, in sintesi, si discute se un’infezione acutamente contratta, virulenta, come l’infezione da Covid-19, rientri negli eventi indennizzabili nel contesto di un contratto di polizza privata infortuni. Bisogna quindi verificare se un’infezione virulenta, quale quella da Covid-19 rientri o meno nella definizione di infortunio prevista dai contratti di polizza.

Va premesso che i contratti di polizza infortuni, ad oggi, contengono tutti una definizione sostanzialmente analoga di infortunio e di malattia: “l’infortunio è quell’evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna che produca lesioni corporali obiettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, un’invalidità permanente o un’inabilità temporanea. La malattia è ciò che non è infortunio”.

L’accesso dibattito verte soprattutto sull’equiparazione tecnica medico legale del concetto di “causa virulenta” con “causa violenta”.

Secondo Enrico Pedoja, Segretario nazionale della SISMLA, l’infezione da Covid-19 può essere considerato un infortunio poichè i requisiti della citata definizione sussistono tutti, ovvero:

1) l’infezione virale è chiaramente fortuita, non è certamente un atto volontario entrare a contatto con una persona infetta; peraltro un comportamento incauto non esclude l’indennizzabilità, essendo ammessi anche i comportamenti colposi

2)l’infezione è esterna, è infatti una causa lesiva che proviene dall’esterno, non dall’interno del corpo

3) l’infezione virale è una causa violenta perché il contatto infettante con il virus non è dilatato nel tempo ma concentrato cronologicamente. Cioè il virus viene contratto in un momento concentrato.

Il concetto di “violenza” per l’infezione da Covid-19 è determinato dal fatto che l’agente infettante, e quindi esterno, abbia avuto una carica infettiva di per sé idonea a determinare lesioni corporali traducibili in un danno alla capacità lavorativa dell’assicurato.

Che l’evento infezione provochi delle lesioni corporali è incontestabile e non c’è nessuna norma contrattuale, afferma Pedoja, che dica che la lesione debba essere “immediata”. Esistono molti casi in cui la lesione corporale indennizzabile si manifesta in un momento differito rispetto all’evento infortunio, ossia con una certa latenza o con un vero e proprio intervallo libero asintomatico. È solo la modalità dell’estrinsecarsi del fattore lesivo dotato di violenza causale che cambia.

Anche Patrizio Rossi, Sovrintendente Sanitario Nazionale INAIL, afferma come la letteratura e la storia medico-legale sono da sempre orientate, fin dalla prima legge antinfortunistica, ad equiparare la causa violenta alla causa virulenta e nel senso di assumere la causa virulenta tra le cause lesive utili al riconoscimento dell’infortunio. L’infezione da Covid-19, a suo parere, è quindi un infortunio, come lo è stata la tubercolosi in passato o l’aids e l’epatite virale più recentemente. La tutela infortunistica delle malattie infettive deve essere la stessa di quelle di altre malattie derivanti da cause lesive traumatiche di altro genere. Rossi sottolinea che ciò che sembra essere una novità, in realtà non lo è, è solo un concetto ereditato dalla storia medico legale. Così come è ereditata la trattazione delle malattie infettive che da anni INAIL conduce su due livelli: dimostrativi (criterio medico – legale ) e di presunzione semplice (criterio giuridico). Invero, sin dagli anni 90’ le sentenze della Corte di Cassazione introducevano in maniera chiara il principio di presunzione semplice per le malattie infettive all’interno del sistema di tutela INAIL, quindi l’inserimento di tale principio nella circolare INAIL del 3 aprile del 2020 non è affatto una novità.

La presunzione semplice è il principio per il quale partendo da un fatto noto, deduciamo un fatto ignoto attraverso indici chiari, precisi e concordanti. La presunzione semplice non è assolutamente un automatismo, ciò significa che non c’è automaticamente infortunio sul lavoro per aver contratto il Coronavirus solo perché si svolge un lavoro che INAIL inserisce tra le mansioni a rischio. Il principio di presunzione è uno strumento di accertamento dei fatti: partire e verificare i fatti noti, quindi l’elevata esposizione al rischio (se risponde ai criteri statistici e scientifici di esposizione), l’attività di lavoro svolta, la possibilità di contagiarsi in concreto, ecc. È fondamentale quindi la dimostrazione e l’istruttoria medico legale perché la presunzione semplice prevede anche la prova del contrario, ad esempio si può provare che la tempistica dell’insorgenza della malattia da Covid-19 non era compatibile con l’espletamento dell’attività lavorativa ma era compatibile con il contagio intra familiare.

Di diversa opinione è il Dott. Luigi Mastroroberto, illustre medico legale, il quale mette in guardia da un fraintendimento che spesso si compie sulla copertura assicurativa della polizza infortuni, che è quello di identificare l’infortunio con la lesione e non con l’evento che l’ha generata, come invece il contratto di polizza precisa. L’oggetto della tutela è l’evento, esso deve rispondere a determinati requisiti e deve essere in grado di produrre (come sua conseguenza) delle lesioni obiettivamente constatabili. La polizza infortuni, come stabilisce la quasi totalità dei contratti ha per oggetto della tutela l’infortunio, ossia un evento che deve avere precisi requisiti di esteriorità, fortuità e violenza e deve essere ben identificabile nel tempo e nel luogo, tanto che, sempre il contratto, obbliga l’assicurato a denunciare tale evento entro un termine cronologico ben preciso (solitamente tre giorni) dal suo verificarsi. Evento la cui analisi e verifica risultano propedeutiche all’analisi ed alla verifica delle lesioni che da tale evento si vogliono fare discendere. “Come a dire che un soggetto denunci come infortunio una lesione della cuffia dei rotatori della spalla solo perchè gli è stata diagnosticata, senza specificare come, in che modo e quando è stato vittima di un evento in grado di produrre quella lesione, cosa che evidentemente priverebbe il medico legale della possibilità di porre in essere tutte quelle verifiche che sempre si impongono in polizza infortuni sul rapporto di causalità fra evento e lesione indennizzabile. Un contagio virale in sé considerato non solo non ha i requisiti richiesti dalla polizza ma, nella grande maggioranza dei casi, non sarà nemmeno mai possibile identificare il momento, il luogo e la modalità del contatto col virus”, afferma Mastroroberto sulla rivista “Ridare”. “In generale quindi – continua – documentare una infezione senza specificare dove, quando ed in che modo è stata contratta e ritenere che questo rappresenti un infortunio indennizzabile che rispetti i requisiti previsti dal contratto, sarebbe una franca forzatura. E va peraltro ricordato che fattispecie del genere (ossia le infezioni di qualsiasi tipo) nell’ambito della contrattualistica privata che si occupa della salute dell’assicurato, sono sempre state inserite nella tutela “malattia” e non nella tutela “infortuni”, atteso che col termine “malattia”, sempre per definizione contrattuale, si intende proprio «ogni alterazione dello stato di salute non dipendente da infortunio”.

Il nostro punto di vista:

In ambito di infortunio sul lavoro, l’INAIL ha correttamente dichiarato l’indennizzabilità dei casi derivati in conseguenza di infezione da Covid-19 contratta in occasione di lavoro. L’INAIL ad esempio sta salvaguardando soprattutto i medici, gli infermieri e gli altri operatori di strutture sanitarie in genere, dipendenti del Servizio sanitario nazionale e, in genere, di qualsiasi altra Struttura sanitaria pubblica o privata assicurata con l’istituto, che nel corso della frenetica attività lavorativa degli ultimi mesi, sicuramente sono stati esposti al virus (nota del 17 marzo 2020, prot n.3675). Il medico legale avrà quindi il compito di dimostrare che il lavoratore ha contratto l’infezione in occasione della propria attività lavorativa.

Per quanto attiene la valutazione dell’infezione virale acuta da Covid-19 in polizza infortuni, siamo concordi con quanto affermato dalla Società Medico-Legale Triveneta. Tale infezione possiede tutte le caratteristiche previste dalla definizione di infortunio. La volontà del contraente è quello di volersi tutelare da possibili “disgrazie o sventure” provenienti dall’esterno della propria persona che possano ledere in maniera “acuta ed improvvisa” la sua salute, determinando un danno di natura patrimoniale definibile secondo parametri monetari preliminalmente concordati con l’Assicurazione che ne ha assunto il rischio. Spetta quindi all’Assicurazione indicarne in maniera specifica le clausole di esclusione.

La letteratura medico legale e quella giuridica ha sempre ricondotto l’evento infezione a causa esterna fortuita e violenta. In conclusione, le infezioni virulente, possono essere escluse dall’indennizzabilità solo in presenza di una eventuale clausola di esclusione e non perché non rientrino nel concetto di fortuito, violento ed esterno.

Il medico legale dovrà accertare l’epoca del contagio ed il riscontro delle specifiche lesioni corporali obiettivabili. Le conseguenze andranno valutate caso per caso, verificando se l’infezione da Covid-19 sia stata la causa necessaria e sufficiente alla produzione del danno, che sia una inabilità temporanea, una validità permanente, la morte o altro rischio assicurato.

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